PERSONAL STANDARD ITEMS

Ariadna Parreu, “Softporn”, 2016
Ariadna Parreu, “Softporn”, 2016
Galleria Macca è lieta di presentare Personal Standard Items, mostra collettiva a cura di Beatriz Escudero (Coordinatrice Comunicazione al MACBA Barcellona, e curatrice indipendente) e Francesco Giaveri (Gallery Manager della ADN Galería di Barcellona, e curatore indipendente), con la partecipazione degli artisti Andrea Canepa (Lima, 1980), Ariadna Parreu (Reus, 1982), Eva Fàbregas (Barcellona, 1988) e Fernando García (Madrid, 1975). La mostra è inserita fra gli eventi collaterali della manifestazione CagliariPaesaggio 2018. Sarà visitabile dal 6 luglio al 31 agosto, ogni martedì, giovedì e venerdì dalle 19 alle 21, o su appuntamento. Ringraziamo per il supporto #CantineLocciZuddas e #CagliariPaesaggio
Photos courtesy Cristian Castelnuovo


Personal Standard Items

Nonostante la globalizzazione e la standardizzazione dell’esistenza si siano propagate dappertutto con una velocità sconcertante, molti artisti avevano messo in discussione giá da molto tempo questo processo imparabile, non più con rappresentazioni o metafore, bensì lavorando direttamente su oggetti reali e sistemi di produzione avanzati. Oggi non è più ovviabile né la globalizzazione né il suo profeta, il mercato. Il regime del mercato libero, l'integrazione economica forzata e la circolazione ultrarapida del capitale speculativo ha inglobato tutto; i protocolli, gli aspetti legali e le dinamiche di questo fenomeno planetario si stanno stringendo sempre di più senza che ci sia nessuna possibilità di scegliere o di uscire dall’apparato burocratico, che condiziona ogni aspetto della vita.

L’opera d’arte che Boris Groys definisce come biopolitica è quella che prova a “produrre e documentare la vita stessa come un’attività pura attraverso mezzi artistici”[1]. La biopolitica foucoltiana, intesa come tecnica specifica del potere e orientata verso il controllo della vita delle persone, funziona per stimolazione continua più che per sottomissione o disciplina (che comunque rimangono ben presenti). Le forme di visibilità, soprattutto il design, assumono così un protagonismo assoluto nella nostra esistenza, dove tutto si concentra sulla produttività accelerata, oggettivamente quantificabile. In questo contesto, “la produzione di capitale converge sempre più con la produzione e la riproduzione della vita sociale in sé”[2], e non rimane aspetto che stia a salvo dal mercato. Noi stessi siamo un prodotto e per questo siamo obbligati a presentarci continuamente come desiderabili e funzionali, ogni giorno ovunque.

Le opere incluse in questa mostra affrontano, da prospettive diverse, aspetti relazionati con la standardizzazione dei processi di produzione e con l’estetizzazione del mondo e come questi fenomeni influiscano quotidianamente nelle nostre vite: dal controllo biopolitico dell’esistenza, passando dai processi di serializzazione della produzione industriale fino alla standardizzazione del lavoro. Il punto d’unione tra le opere in mostra è la parodia come strumento di resistenza e di critica delle norme imposte.

Andrea Canepa si concentra sui processi di burocratizzazione globalizzata e su come l’adattarsi ad un determinato standard implichi - forzosamente – sottomettersi ad un insieme di regole. Attraverso esercizi di esplorazione formale, le sue opere, non esenti di grande carica simbolica, ci portano a soffermarci sui sistemi di controllo. A life in forms (2017) mostra in ordine cronologico i 10 formulari basici che qualsiasi individuo nel corso della sua vita prima o poi dovrà completare, dall’atto di nascita al certificato di morte. La artista elimina il testo di ciascun formulario lasciandolo così privo di funzionalità. Questi items, oggetti grafici svuotati di significato, ci mostrano strutture reticolari e celle in un esercizio di formalismo geometrico caricaturale e paradossale. L’esistenza burocratizzata si sottomette al registro anatomico-metafisico e al tecnico-politico attraverso un insieme di regolamenti (ospedalieri, scolastici, militari, bancari, statali…). I formulari che l’artista ha raccolto esercitano un controllo minuzioso sul corpo di ciascuno, senza esclusioni, nella sua attività fisica e sociale. Il suo gesto toglie a questi documenti la possibilità di registrare informazioni, e ridurre la complessità di un essere umano a un dato statistico.

IEC60083 unisce undici prese elettriche diverse che la artista ha raccolto in giro per il mondo. Le infrastrutture elettriche appartengono a un altro momento storico, previo alla globailizzazione, quando ogni Stato si organizzò indipendentemente creando i propri sistemi di voltaggi e corrente. Chissà la sua proposata sia eloquente di quello che l’individuo deve attraversare attualmente, in un mondo globalizzato e iperconnesso che obbliga allo spostamento continuo, più o meno forzato. Allo stesso tempo, rappresenta anche una rievocazione dei processi burocratici kafkiani, dai quali deve passare ogni cittadino in transito. Entrambe le opere di Andrea Canepa ci raccontano la complessa rete di doveri che si stabilisce quando un individuo si relaziona col proprio ambiente circostante, e l’obbligo di adattarsi ai processi che regolano la vita in comune.

Il video di Eva Fàbregas indaga i processi di produzione del disegno industriale degli oggetti che ci circondano, attraverso un case-study emblematico che rivoluzionò l’ambiente domestico. The role of unintended consequences (Sofa Compact) (2016) è un’animazione che prende spunto dall’omonimo divano di Charles e Ray Eames, che dal 1954 non si è smesso di produrre e vendere in tutto il mondo. Si tratta del archetipo di una nuova creatività industriale che si allontana dagli stili e la tradizione imitativa “borghese” del passato, per rispondere a nuove necessità di comodità, costi contenuti e facilità di trasporto per arrivare a clienti sparsi in tutto il mondo. È l’inizio di un processo nel quale i produttori diedero maggiore importanza all’estetica invece che alla durabilità, offrendo poi la possibilità di adattare i loro prodotti all’esigenza di qualsiasi consumatore. Usando il disegno come base, si dispiegano un’infinità di varianti che si adattano facilmente a tutti i gusti e case. La colonna sonora del video riproduce l’annuncio originale creato dagli stessi Eames, già perfettamente consapevoli dell’importanza del marketing. Il suono e il ritmo del montaggio danno al video una certa atmosfera di parodia. Le immagini in loop evidenziano come l’omogeneizzazione del mondo attraverso gli oggetti di design si basi sulla distribuzione mondiale continua, e il Sofa Compact appare come un’entità virale che si propaga in “habitats” differenti. La parodia che propone la artista è giustamente usata per enfatizzare la velocità e il cambio irreversibile che incarna simbolicamente questo divano, come prototipo di tanti altri fenomeni del marketing globale.

Fin dalle avanguardie storiche, incluso tra più formali, si promulgò “un orizzonte utopico che mantenne le opere d’arte lontane dall’essere semplici esercizi ornamentali e di decorazione”, come sottolinea la artista-attivista Martha Rosler[3].  Da quel momento in poi la questione si complica e, nell’attuale capitalismo transestetico, nessun oggetto, per quanto banale, sfugge all’intervento del disegno e al suo “trucco” estetico. Ogni prodotto, dal cellulare allo spazzolino da denti, emana tutta una serie di considerazioni che vanno oltre la sua funzione pratica, come l’eleganza, la bellezza e incluso, una personalità evidentemente attrattiva. Niente sfugge dall’essere trasformato in un oggetto di design o decorativo, per sedurre e produrre effetti emozionali che muovono a possederli. Tutto questo lo articola bene la collezione di dildo che presenta Ariadna Parreu nell’opera Softporn (2016). La varietà di forme e colori di questi oggetti, a modo d’arma di seduzione, è sintomatica del capitalismo del iperconsumo che s’appropria anche della sfera più intima. La artista, con una inversione carnevalesca, fa una parodia di questo processo di abbellimento industriale: si appropria di oggetti funzionali ma anche estetizzati, proponendo una collezione di forme attrattive prive della loro funzione originale. Allo stesso tempo questi oggetti sfuggono dai processi di fabbricazione industriale: sono stati realizzati in ceramica plastica con un processo totalmente manuale e artigianale. Tornando alle origini del design, all’artigianato applicato ad un prodotto attuale, Parreu altera la logica di fabbricazione e l’esposizione di questi prodotti allontanandoli dall’immagine propria dell’industria della sessualità, e muovendoli verso un’area diversa del design dove ora sono solo dei “bei giochini”. Parreu toglie così ad oggetti intimi la loro connotazione e li restituisce come oggetti non più di piacere sessuale ma solamente visivo. Allo stesso tempo, evidenzia la necessità di “rifiutare l’idea della separazione assoluta tra l’arte di creazione e l’arte commerciale”[4]

Non si tratta, evidentemente, che le opere d’arte debbano fare concorrenza agli oggetti commerciali, ma bisogna questionare, come forma di resistenza, l’ansietà produttiva che ci circonda e, per lo meno, esserne coscienti dell’estetizzazione che l’accompagna. Finalmente, insieme a queste opere che ci parlano di processi di fabbricazione industriale, di ruoli e funzioni, di controllo sulle diverse variazioni della produzione e dell’individuo, si mostra una serie di disegni, Puestas de sol (2016), realizzati da Fernando García. Sono lavori rituali, che rivelano la lentezza del processo e richiedono l’attenzione tanto dell’esecutore quando dello spettatore.

La ricerca di García lo porta a concentrarsi in materiali di scarto, quello che l’artista incontra, studia e trasforma in un esercizio di ripetizione di forme successive per arrivare, finalmente, al maggior numero di risultati possibili e consenta un grado massimo di libertà creativa. Questo modus operandi apparentemente contraddice le opere qui presentate. Opere realizzate come un esercizio di riflessione sul proprio processo creativo, e che si basano nel portare a termine un lavoro quasi meccanico, intorno ad un sistema di produzione che lascia poco margine al errore, al caso e all’immaginazione. Qui tutto è deciso precedentemente, non è necessario pensare, c’è solo da agire; l’artista semplicemente continua in attesa di quel raggio inaspettato che apra, come un filo verso altre scene, una nuova linea di lavoro. La serie di disegni in mostra é il risultato di una sequenza precisa di ordini che l’artista ha elaborato e che segue scrupolosamente durante l’esecuzione. Replica il modo di lavoro di un esecutore che non prende decisioni, solo esegue nell’attesa di alcune piccole variazioni, quasi impercettibili, che rendono queste opere dei pezzi unici.

Sono dunque ítems, personali ma anche standardizzati, una contraddizione che si spiega grazie alla parodia esplicita presente in tutte le opere in mostra. La parodia, a differenza della finzione, si mantiene a distanza dell’oggetto reale che “attacca”; è talmente realista che crea uno spazio adeguato per la messa in discussione di ciò che ci circonda[5]. L’urgenza sta nello svelare e contrastare il flusso globalizzatore che ci ha inghiottito e convinto che “essere e possedere” è ciò che conta, mentre noi pensavamo che l’importante era “creare e trasformare”[6]. Si tratta dunque di recuperare la volontà di creare e trasformare tante volte quante sia necessario, fino a che gli items smettano di essere numerabili e replicabili, perché quello che è personale non dovrebbe mai essere standard.

[Beatriz Escudero e Francesco Giaveri]

 

 



[1] Boris Groys, El arte en la era de la biopolítica: De la obra de arte a la documentación de arte

[2] Michael Hardt y Toni Negri, Imperio

[3] Martha Rosler, ¿Tomar el diner y correr? ¿Puede ‘sobrevivir’ el arte político y de crítica social?

[4] Gilles Lipovetsky y Jean Serroy, La estetización del mundo

[5] Giorgio Agamben, “Parodia”, in Profanazioni

[6] Remedios Zafra, El entusiasmo

 Personal Standard Items

When globalisation and standardisation of life were imposed everywhere at the same time, many artists had already been questioning their environment for decades. Not only with metaphors or representations, but working directly on real objects and advanced production systems. At present there is no possible escape from globalisation or its messiah, the market. Free market, forced economic integration and ultra-rapid circulation of speculative capital have engulfed everything; the protocols, laws and dynamics of this global phenomenon are closing up more and more without any chance of choosing or leaving this bureaucratic griddle, which affects every single aspect of our life.

The work of art that Boris Groys defines as biopolitics tries to “produce and document life itself as a pure activity through artistic means”[1]. According to Foucault, biopolitics, a specific power technique used to control people's lives, works by stimulation rather than subjection or discipline (though as well). Thus this forms of visibility, or design, acquire an overwhealming prominence in our existence, where everything is aimed at accelerated, quantifiable and objectifiable productivity. In this context, “the production of capital coincides more and more with the production and reproduction of social life itself”[2], and there is no area safe from the market. We ourselves are a product and torced as such to present ourselves as desirable and functional anytime anywhere.

The works of art included in this exhibition are concerned - from different perspectives - with the standardisation of production and the aesteticisation of the world that affect our daily life: from the biopolitical control of our existence, through the processes of serialisation of industrial production, to a voluntary standardisation of work processes. And in all of them parody is used as a tool to resist and question the imposed regulations.

Andrea Canepa investigates globalised bureaucratisation processes and how adapting to standards naturally entails the need to follow a certain set of rules. Through formal exploration exercises, her work, charged with symbolism, deals with control systems. A life in forms (2017) shows in chronological order the ten basic forms that we must fill in through our existence, from birth to death certificate. The artist deletes the data, thus leaving the forms stripped of their purpose. These bare graphic items just show them grids and cells, in a paradoxical and caricatural exercise of geometric formalism.

Our bureaucratised existence is reduced to the anatomic-metaphysical and the technic-political records through a whole set of rules (hospitals, schools, military, bank accounts, social security numbers…). The forms that the artist has put together exercise a thorough control of our body, without exclusions, in their physical and social activity. But her action deprives these documents of the power to register information and reduce the complexity of a human being to statistics.  

Installed on the floor, IEC60083 gathers eleven different electric plugs the artist has been collecting around the world. The electrical infrastructure belongs to a previous historical period, in which each state organised itself independently, creating its own systems, voltages and regulations. Perhaps this is an eloquent image of the geopolitical barriers that men must go through nowadays, in a globalised and hyper-connected world that forces constant displacement. At the same time, it is an evocation of the Kafk processes any citizen in transit must go through. Both works relate the complex network of duties involved in the relation of the individual to its environment, and the need to adapt to the processes that control social life.

Eva Fàbregas’ video investigates industrial production processes in the design of objects that surround us, through an emblematic case study that revolutionized our domestic environment. The role of unintended consequences (Sofa Compact) (2016) is an animation based on the invention of the homonymous sofa by Charles and Ray Eames, which has not stopped being produced and sold all over the world since 1954. It is the archetype of non-artistic furniture of the new industrial creativity that keep off the "bourgeois" imitative styles of the past, to respond to new needs for comfort, contained costs and easy transportation, to reach customers around the world. It is the beginning of a process in which manufacturers gave increasing importance to aesthetics versus durability, adapting their products to their clients’ needs. Using the design as a framework, a multitude of models unfold that can easily adapt to all tastes and homes.

The soundtrack of the video reproduces the original announcement created by the Eames, at that time already aware of the importance of marketing. The video editing, with its sound and rhythm, confers a certain atmosphere of parody to it. Its loop images show how the homogenisation of the world through designed objects is based on the continuous distribution on a planetary scale, and the Sofa Compact appears as a viral entity that spreads through different “habitats”. The parody is used by the artist to emphasize the speed and irreversible change that this sofa symbolically embodies, as a seed for other global marketing phenomena.

Historical avant-gardes, even the most formalistic, promoted “a utopian horizon that kept the works of art away from being simple exercises of decoration and design”, as indicated by artist-activist Martha Rosler[3]. From then on, things got complicated and, in the current trans-aesthetic capitalism, no object, however trivial, escapes the intervention of design and its aesthetic make-up. Every product, from mobile phones to toothbrushes, emanates a whole series of considerations beyond its practical function, such as elegance, beauty, a certain cool factor, and an attractive personality. Nothing escapes being transformed into an object of design or decorative, to seduce and produce emotional effects that incite us to own them. This is well articulated by the dildos collection presented by Ariadna Parreu in her work Softporn (2016). The variety of forms, colors and textures of these objects exemplifies the weapon of mass seduction of the hyperconsumption capitalism that engulfs even the most intimate spheres. The artist, with a carnivalesque twist, mocks this process of industrial embellishment: she seizes functional as well as aestheticized objects, proposing collections of attractive shapes that are now deprived of their original function. At the same time, these objects elude industrial manufacture processes: they are handmade in plastic ceramics. Going back to design’s basics, to the craftsmanship of the workshop applied to a daily product, Parreu changes the logic of manufacturing and the exposure of these “products” removing their sex industry connotation, and transposing them into an almost infantilised design environment, in which they are just ‘nice toys’. Parreu thus deprives intimate objects of their connotations and makes them objects no longer of sexual but visual enjoyment. At the same time, they show that nowadays we need to “reject the idea of the absolute dissimilarity between art of creation and commercial arts”[4].

Obviously it does not mean that works of art have to compete with market objects, but we need to question, as a form of resistance, the productivity anxiety that surrounds us. Finally, along with these works that tackle industrial manufacturing processes, roles and functions, control over different aspects of production and individual, a selection of Puestas de sol (Sunsets) (2016) by Fernando García. It is a ritual series that reveals the slowness of the process, and requires the attention of both the executor and the viewer. García’s research entails the display of discarded materials, gathered by the artist at his place or during trips, which he studies and extracts in an exercise of repetition of successive forms to reach as many results as possible, and its main feature is the absolute creative freedom. Apparently this modus operandi collides with the works presented here. It is a serial work conceived as an exercise of meditation over his work, and based on almost mechanical work, in a production system that leaves little room for error, chance and imagination. Here everything is previously decided, there is no need to think, you just have to execute, simply do and repeat, and keep going, until an unexpected spark unfolds a new series. The drawings that are exhibited respond to a sequence of orders that the artist has elaborated and that he strictly follows during the execution. It replicates the modus of a blind executor, but always adding small, subtle variations that make each work on paper unique.

So it is about items, personal and standardised at the same time, a contradiction that is sustained by the explicit parody that characterises all the works exhibited. Parody, unlike fiction, remains at a distance from the real object it tackles; it is so realistic that it fosters an attentive questioning of what surrounds us. The urgency lies in unveiling and counteracting the globalising flow that have engulfed and convinced us that what counts is ‘being and owning’, instead of ‘creating and transforming’[5]. The will to create and transform as many times as necessary, until the items are no longer countable and replicable, must be reinstated because what is personal should never be standard.

[Beatriz Escudero and Francesco Giaveri]

 

 

 



[1] Boris Groys, Art in the age of biopolitics: From Artwork to art documentationEl arte en la era de la biopolítica: De la obra de arte a la documentación de arte

[2] Michael Hardt and Toni Negri, Empire 

[3] Martha Rosler, Take the Money and Run? Can Political and Socio-critical Art "Survive"?

[4] Gilles Lipovetsky and Jean Serroy, Aesthetisation of the world [L'esthétisation du monde. Vivre à l'âge du capitalisme artiste]

[5] Remedios Zafra, Esthusiasm [El entusiasmo]

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