CRISTIAN CASTELNUOVO

BLU | MAR 9 - APR 18 | 2017

JFK Arrivals (2005), Premio Celeste 2006 - courtesy of the artist
JFK Arrivals (2005), Premio Celeste 2006 - courtesy of the artist

Galleria Macca è lieta di presentare Blu, la prima mostra personale di Cristian Castelnuovo (Vigevano, 1977) a Cagliari, curata da Efisio Carbone.




                                                                                                                                                                                                   “La terra è blu, che meraviglia, è incredibile”

(Jurij Gagarin, 1961)

 

Blu
 

Colore del cielo che richiama l’uomo verso l’infinito; prediletto da Kandinsky, doloroso per Picasso, vorticoso nei notturni di Van Gogh, assoluto per Klein, prezioso come il lapislazzulo sulle volte del mondo della spiritualità umana, il blu traccia la Storia dell’Arte da protagonista. È quindi questo il colore che segna un “fil rouge” tra la serie di opere che Cristian Castelnuovo ha deciso di selezionare e riunire in occasione della prima mostra personale in Sardegna. Ma non è solo il blu ad essere tema portante dell’esposizione: l’artista si presenta con la sua poetica e la meticolosità della ricerca, ormai pluriennale, costellata di successi nazionali e internazionali. Eccellenti capacità tecniche e una notevole profondità spirituale sono alla base della trattazione di temi assai complessi, affrontati e risolti con rara sintesi e compiutezza estetica. Sono luoghi fotografati in un ideale viaggio dentro e fuori di noi, attraversati forzosamente, distrattamente, luoghi ai quali non viene attribuito nessun significato, scavalcati dal pensiero, incrociati per pochi secondi seguendo una moltitudine, come trasportati dalla corrente.

Sono gli scali degli aeroporti, snodi focali dell’esistenza sempre più interconnessa col mondo delle grandi distanze, dove spazio e tempo convivono, nel bene e nel male, con i nostri ritmi interiori. Ma se per Bauman la vacuità del luogo è negli occhi di chi guarda, allora (forse) l’uso e l’abuso del concetto di non-luogo di Augé può essere finalmente ridefinito e reinterpretato. I tagli a fuoco unico degli interni appaiono come quinte silenziose; l’uomo è assente, siamo noi sempre i primi ad attraversarle affascinati come i primi pittori del ‘400, scopriamo la prospettiva e la inseguiamo gettando il tempo dietro al tempo (come scrisse Vasari per l’ingegnoso Paolo Uccello) oppure decidiamo di fermarci sulla soglia, come fa l’artista quando posiziona il suo cavalletto, per limitarci a contemplare scoprendo il valore metafisico nascosto agli occhi di chi procede distrattamente: quel senso di immobile ed eterno che la geometria restituisce attraverso l’architettura. Queste strutture avveniristiche che, nella raffinata pulizia formale, ricordano certi lavori di Werner Mantz e nell’enfasi della luce la grandezza di Karl Hugo Schmölz, precedono l’abisso del blu percepito in volo. La serie degli oblò circoscrive porzioni di cielo come le cornici che separano la realtà fenomenica dallo spazio dipinto. Una finestra che getta lo sguardo verso il mondo per distaccarsi dalla realtà e acquistare una straordinaria palpitazione di ideale (Ortega Y Gasset, Meditazioni sulla cornice). Momenti preziosi d’infinita solitudine ma essenziali per assaporare il senso di libertà. Finestre aperte verso il vuoto o chiuse in spazi ovattati come nella fiumana in blu. Quasi un omaggio alla fotografia soggettiva di Peter Keetman: il frastuono e la calca del pubblico al concerto si condensa sul sottile vetro dell’io, una miriade di gocce sulla pellicola.

[Efisio Carbone]

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